lunedì 5 agosto 2013

Camerieri barra scrittori: i WRAITER


Se andate su LinkedIn, e la cercate in qualche menù a tendina, non la troverete mai. Wraiter. E’ una parola che non esiste. Trovate waiter (cameriere) oppure writer (scrittore). Quelle si, sono professioni che esistono veramente. Perlomeno, secondo LinkedIn e tutti i menù a tendina della rete. Eppure, la realtà, è un po’ diversa.

Ne parlavo l’anno scorso su Notizie-News, in un articolo poi finito su Informazione Libera e sparso per i social network: i wraiter sono ormai una realtà consolidata.
Il termine è un neologismo, che con un gioco di parole fonde le due professioni sopracitate e ne crea una terza, molto più reale e verosimile delle altre due. Il wraiter.
Il cameriere-scrittore. Quello che di giorno lavora al ristorante per pagare la stanza in cui scriverà racconti di notte.
Ne parlavano I Cani nel loro singolo Velleità, in cui anche “i nati nel ‘69 fanno i camerieri al centro e scrivono racconti”. E si parlava di wraiter anche oltreoceano, quando nel film One Day (tratto dal romanzo d’esordio di David Nicholls, portato sul grande schermo nel 2011) la protagonista Emma (Anne Hatheway), cameriera a Londra, si rivolge ad un collega chiedendo la propria barra“Qui dentro siamo tutti cameriere barra scrittore, cameriere barra attore, cameriere barra musicista… e tu? Qual è la tua barra? Benvenuto al cimitero delle ambizioni.”
In realtà, la doppia professione è tutto tranne che un cimitero: è condizione necessaria per continuare a sognare, e far si che il sogno prima o poi possa tramutarsi in realtà. E lo sanno non solo i camerieri, ma anche tutte le altre barra (pardon, arti) e professioni precarie che con la ristorazione hanno parecchio in comune, a cominciare dalla vita incerta affiancata alle ambizioni di chi accetta quei posti di lavoro.
La situazione dell’editoria italiana nel 2013 è disarmante. Le case editrici non accettano (quasi) più manoscritti, i talent scout stanno scomparendo, l’editoria a pagamento e il self publishing via ebook stanno annacquando (se non addirittura inquinando) un mercato che ormai sulla scia della “coda lunga” si avvia verso la “coda infinita”. A fronte di una decina di scrittori professionisti, ci sono decine di migliaia di signor nessuno che vendono meno di 50 copie delle loro opere. E per qualcuno di loro 50 copie restano un sogno.
Insomma, se non sei Baricco, Volo o Saviano, con la scrittura non ci campi. Tuttavia, quando sei un D’Avenia, è meglio affiancare un qualcosa di più sicuro.
I giovani d’oggi non vogliono nemmeno essere dei paragonati a questi mostri sacri delle vendite, peraltro spesso messi in discussione e criticati pesantamente (e concedetemelo: talvolta giustamente, ci si conceda un po’ di sana critica).
Nella profonda crisi culturale che ha investito il nostro Paese, ben lungi da una soluzione in tempi brevi, l’imperativo è sopravvivere ed arrangiarsi. Anche all’estero: Nicholls, in fondo, ha semplicemente fotografato una realtà che esiste da sempre, e ultimamente è diventata scelta obbligata. E non soltanto in Italia.
Oltre ai giovani in fuga con il trolley da 10 kg (i nuovi emigranti), c’è una percentuale di scrittori italiani che risiedono e lavorano all’estero, ma scrivono in lingua inglese, pubblicando nei circuiti di vendita internazionali.
La doppia professione esiste da sempre, e possiamo sempre citare il buon Chuck Palahniuk che dai suoi mestieri più disperati e disperati ha tratto l’ispirazione per le sue opere, oppure ironizzare con “Sei uno scrittore? Figo… quindi che lavoro fai?”. Quello che contraddistingue i wraiter di oggi è lo stile.
E non stiamo parlando di prosa, ognuno ha la sua (e ci mancherebbe), ma lo stile di vita. Gli scrittori di oggi devono mantenere un minimo di regolarità, organizzazione e competenze. Soprattutto competenze informatiche e di comunicazione, nel mondo dei social. Email, sito e blog sono soltanto le basi di una serie di strumenti: facebook, twitter, tumblr, instagram, e ogni altro mezzo gratuito e potenzialmente virale diventa utile per mantenere i contatti con il mondo esterno, per comunicare e farsi trovare. Così come è fondamentale imparare a gestirsi tra i turni di lavoro e le pagine di scrittura.
La moleskine e il computer portatile restano degli evergreen, ma si affiancano wi-fi libere e  iPad. Aumenta il numero di wraiter che vivono nelle metropoli, per poter avere nuove ispirazioni (per raccontare meglio la provincia di casa appena lasciata, a volte), che spesso cercano tranquillità in biblioteche e locali poco frequentati, spesso più silenziose delle loro abitazioni (mai vissuto in una casa di studenti universitari?) in una eterna ricerca della massima resa tra servizio e prezzo. Perché non dobbiamo dimenticarci che il lavoro nella ristorazione non è certo per vocazione, ma è per pagarsi da vivere.
La parte più difficile da gestire resta sempre l’equilibrio privato: è sempre dura smentire il pirandelliano “la vita o la si vive o la si scrive”. E se era difficile per Pirandello, che veniva da una famiglia agiata, figuriamoci per chi si deve destreggiare tra il taccuino delle ordinazioni e quello dei racconti.
Se non altro, impareranno a non arrendersi: sanno benissimo che quando si arriva alla frutta, c’è ancora il caffè.



di Enrico Atti

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