Se andate su LinkedIn, e la cercate in qualche menù a tendina, non la troverete mai. Wraiter. E’ una parola che non esiste. Trovate waiter (cameriere) oppure writer (scrittore). Quelle si, sono professioni che esistono veramente. Perlomeno, secondo LinkedIn e tutti i menù a tendina della rete. Eppure, la realtà, è un po’ diversa.
Ne parlavo l’anno scorso su Notizie-News, in un articolo poi finito su Informazione Libera e sparso per i social network: i wraiter sono ormai una realtà consolidata.
Il termine è un neologismo, che con un gioco di parole fonde le due professioni sopracitate e ne crea una terza, molto più reale e verosimile delle altre due. Il wraiter.
Il cameriere-scrittore. Quello che di giorno lavora al ristorante per pagare la stanza in cui scriverà racconti di notte.
Ne parlavano I Cani nel loro singolo Velleità, in cui anche “i nati nel ‘69 fanno i camerieri al centro e scrivono racconti”. E si parlava di wraiter anche oltreoceano, quando nel film One Day (tratto dal romanzo d’esordio di David Nicholls, portato sul grande schermo nel 2011) la protagonista Emma (Anne Hatheway), cameriera a Londra, si rivolge ad un collega chiedendo la propria barra. “Qui dentro siamo tutti cameriere barra scrittore, cameriere barra attore, cameriere barra musicista… e tu? Qual è la tua barra? Benvenuto al cimitero delle ambizioni.”
In realtà, la doppia professione è tutto tranne che un cimitero: è condizione necessaria per continuare a sognare, e far si che il sogno prima o poi possa tramutarsi in realtà. E lo sanno non solo i camerieri, ma anche tutte le altre barra (pardon, arti) e professioni precarie che con la ristorazione hanno parecchio in comune, a cominciare dalla vita incerta affiancata alle ambizioni di chi accetta quei posti di lavoro.
La situazione dell’editoria italiana nel 2013 è disarmante. Le case editrici non accettano (quasi) più manoscritti, i talent scout stanno scomparendo, l’editoria a pagamento e il self publishing via ebook stanno annacquando (se non addirittura inquinando) un mercato che ormai sulla scia della “coda lunga” si avvia verso la “coda infinita”. A fronte di una decina di scrittori professionisti, ci sono decine di migliaia di signor nessuno che vendono meno di 50 copie delle loro opere. E per qualcuno di loro 50 copie restano un sogno.
Insomma, se non sei Baricco, Volo o Saviano, con la scrittura non ci campi. Tuttavia, quando sei un D’Avenia, è meglio affiancare un qualcosa di più sicuro.
I giovani d’oggi non vogliono nemmeno essere dei paragonati a questi mostri sacri delle vendite, peraltro spesso messi in discussione e criticati pesantamente (e concedetemelo: talvolta giustamente, ci si conceda un po’ di sana critica).
Insomma, se non sei Baricco, Volo o Saviano, con la scrittura non ci campi. Tuttavia, quando sei un D’Avenia, è meglio affiancare un qualcosa di più sicuro.
I giovani d’oggi non vogliono nemmeno essere dei paragonati a questi mostri sacri delle vendite, peraltro spesso messi in discussione e criticati pesantamente (e concedetemelo: talvolta giustamente, ci si conceda un po’ di sana critica).
Nella profonda crisi culturale che ha investito il nostro Paese, ben lungi da una soluzione in tempi brevi, l’imperativo è sopravvivere ed arrangiarsi. Anche all’estero: Nicholls, in fondo, ha semplicemente fotografato una realtà che esiste da sempre, e ultimamente è diventata scelta obbligata. E non soltanto in Italia.
Oltre ai giovani in fuga con il trolley da 10 kg (i nuovi emigranti), c’è una percentuale di scrittori italiani che risiedono e lavorano all’estero, ma scrivono in lingua inglese, pubblicando nei circuiti di vendita internazionali.
Oltre ai giovani in fuga con il trolley da 10 kg (i nuovi emigranti), c’è una percentuale di scrittori italiani che risiedono e lavorano all’estero, ma scrivono in lingua inglese, pubblicando nei circuiti di vendita internazionali.
La doppia professione esiste da sempre, e possiamo sempre citare il buon Chuck Palahniuk che dai suoi mestieri più disperati e disperati ha tratto l’ispirazione per le sue opere, oppure ironizzare con “Sei uno scrittore? Figo… quindi che lavoro fai?”. Quello che contraddistingue i wraiter di oggi è lo stile.
E non stiamo parlando di prosa, ognuno ha la sua (e ci mancherebbe), ma lo stile di vita. Gli scrittori di oggi devono mantenere un minimo di regolarità, organizzazione e competenze. Soprattutto competenze informatiche e di comunicazione, nel mondo dei social. Email, sito e blog sono soltanto le basi di una serie di strumenti: facebook, twitter, tumblr, instagram, e ogni altro mezzo gratuito e potenzialmente virale diventa utile per mantenere i contatti con il mondo esterno, per comunicare e farsi trovare. Così come è fondamentale imparare a gestirsi tra i turni di lavoro e le pagine di scrittura.
La moleskine e il computer portatile restano degli evergreen, ma si affiancano wi-fi libere e iPad. Aumenta il numero di wraiter che vivono nelle metropoli, per poter avere nuove ispirazioni (per raccontare meglio la provincia di casa appena lasciata, a volte), che spesso cercano tranquillità in biblioteche e locali poco frequentati, spesso più silenziose delle loro abitazioni (mai vissuto in una casa di studenti universitari?) in una eterna ricerca della massima resa tra servizio e prezzo. Perché non dobbiamo dimenticarci che il lavoro nella ristorazione non è certo per vocazione, ma è per pagarsi da vivere.
La parte più difficile da gestire resta sempre l’equilibrio privato: è sempre dura smentire il pirandelliano “la vita o la si vive o la si scrive”. E se era difficile per Pirandello, che veniva da una famiglia agiata, figuriamoci per chi si deve destreggiare tra il taccuino delle ordinazioni e quello dei racconti.
Se non altro, impareranno a non arrendersi: sanno benissimo che quando si arriva alla frutta, c’è ancora il caffè.
Se non altro, impareranno a non arrendersi: sanno benissimo che quando si arriva alla frutta, c’è ancora il caffè.
di Enrico Atti
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