mercoledì 21 agosto 2013

Mimmo Di Caterino e il suo "Altro Sistema dell'Arte"

Iniziamo con un po' di lessico, neo-lessico ed anagrafe. Partiamo dall'Arte, buttiamo in mezzo “Ri-fenomeno” e infine Domenico “Mimmo” di Caterino.
Per quanto riguarda “Arte” lasciamo ai lettori più liberi di pensiero di abbandonarsi alla loro concezione di tale parola con la stessa libertà con cui il suo significato dovrebbe essere esercitato; adesso riconosciamo pacatamente nel neo-termine di Radura “Ri-fenomeno” la persona e la corrente insieme che in questa sede vuole ri-scuotere lo status quo della fruizione dell'arte oggi in Italia.
Per finire prendiamo il napoletano di nascita Mimmo di Caterino, classe 1973, e teniamo conto che è entrato ed è uscito nelle e dalle istituzioni dell'arte da una vita ormai, sin dall'Accademia di Napoli che dalla rivista “Exib Art”, e che ha fatto di tale esperienza, insieme al suo operato diretto in quanto pittore, l'humus che lo ha a portato a scrivere un “Altro Sistema dell'Arte” (Book Sprint 2012), che acquistate su http://www.booksprintedizioni.it/libro/arte/altro-sistema-dell-arte .

Riportiamo qui un passo del saggio, che potrebbe definirsi la bibbia di quello che Di Caterino non si è limitato a teorizzare, ma di quanto egli e la sua compagna portano avanti tutt'ora con la sua Tavorart Mobil (http://tavorartmobil.blogspot.co.uk/ ). L'idea è eccezionale, e poi c'è Cagliari, a cui Radura è sempre affezionata. L'automobile diventa un “non-museo mobile”. I video di tali “esibizioni” disponibili sul tubo possiedono tutta l'informalità di chi di arte fruisce e gioisce senza parti terze. Pare si sia tra amici, proprio lì dentro in macchina, e qualcuno comincia a parlare d'arte e ti mostra opere contemporanee di tutti i generi e di persone il cui nome forse non avresti mai sentito pronunciare, nell'esclusività di un momento intimo che nulla spartisce con i burocrati prezzolati che allestiscono i già vuoti musei d'Italia.
Ed è anche a costoro che consigliamo questo libro.

Di Fabrizio Marciante




ALTRO SISTEMA ANARCHICO DELL'ARTE

Un "Altro sistema dell'arte" gli artisti non possono pensare di costruirlo per decreto legge, bisogna farlo gradualmente dal basso, partendo dal ruolo dell'artista stesso nell'attuale sistema dell'arte, bisogna costruirlo dentro il guscio del vecchio e dell'Accademico, basandosi sull'interconnessione e l'autogestione tra gli artisti che sappiano partire e intercettare le pratiche popolari e i luoghi comuni delle loro esistenze.

Attraverso l'interconnessione tra gli artisti è possibile recuperare una "economia del dono del segno artistico" non basata sul calcolo dell'artista, ma sul suo rifiuto di calcolare, aprendo così la possibilità di rappresentare un sistema etico, prima che estetico, dell'estetica del rifiuto e del rifiutato.

Gli artisti, con i loro linguaggi, codici o stili, possono attraverso le pratiche connettive, autorappresentarsi come un popolo privo di uno stato che ne limiti contenuti e operazioni, in grado d'intendersi su pratiche, linguaggi e rituali comuni del fare arte contemporanea, creando in questa maniera un sistema anarchico dell'arte, che sappia fare a meno della logica del mercato, dello stato e della rappresentanza di una fede o ideologia politica.

In quanto rappresentazione immaginaria, questo "Altro sistema dell'arte" è istituzionalmente responsabile della sua esistenza e forma e anche della rivalutazione del classico e Accademico sistema dell'arte figlio diretto della rivoluzione industriale e del lavoro dell'artista intermediato da un "addetto ai lavori".

In questo tempo di trasformazione radicale è possibile inventare nuove forme sociali, politiche ed economiche,inedite nella loro gestazione connettiva e collettiva, anche per l'artista che le pratica e sperimenta.

Questo "Altro sistema dell'arte" sarà una connessione tra miriadi di comunità, reti e progetti sovrapposti e intrecciati, non sarà una conquista e neanche un cataclisma rivoluzionario, sarà un semplice processo di sviluppo attraverso la lenta creazione di nuove forme di comunicazione e organizzazione.

Tratto connettivo e comunante sarà il movimento, il corso conseguente del tempo, muoversi trasformerà un progetto di altro sistema in identità di un nuovo sistema, il movimento ossificato diverrà attraverso la memoria dei social network proprietà collettiva autoevidente.

La matrice di tutto questo? La generazione italiana dei centri sociali, quella che ha rifiutato il lavoro industriale pur difendendone i diritti, una generazione che negli anni anni novanta ha saputo anticipare tendenze che ora sono planetarie, diffuse e generalizzate, sapendo contrapporre alla finta globalizzazione delle multinazionali una reale globalizzazione dei movimenti, in grado di sfondare muri, limiti e frontiere.

Per questo possiamo definire questo secolo, il secolo dell'artista anarchico in grado di mettere sotto assedio summit Accademici e di mercato dell'arte, in grado di potere fare fronte e causa comune per il sistema dell'arte che verrà assumendosene la responsabilità.

Dal sud dell'isola, Domenico "Mimmo" Di Caterino o se preferite "Mario pisci a forasa".




lunedì 5 agosto 2013

Camerieri barra scrittori: i WRAITER


Se andate su LinkedIn, e la cercate in qualche menù a tendina, non la troverete mai. Wraiter. E’ una parola che non esiste. Trovate waiter (cameriere) oppure writer (scrittore). Quelle si, sono professioni che esistono veramente. Perlomeno, secondo LinkedIn e tutti i menù a tendina della rete. Eppure, la realtà, è un po’ diversa.

Ne parlavo l’anno scorso su Notizie-News, in un articolo poi finito su Informazione Libera e sparso per i social network: i wraiter sono ormai una realtà consolidata.
Il termine è un neologismo, che con un gioco di parole fonde le due professioni sopracitate e ne crea una terza, molto più reale e verosimile delle altre due. Il wraiter.
Il cameriere-scrittore. Quello che di giorno lavora al ristorante per pagare la stanza in cui scriverà racconti di notte.
Ne parlavano I Cani nel loro singolo Velleità, in cui anche “i nati nel ‘69 fanno i camerieri al centro e scrivono racconti”. E si parlava di wraiter anche oltreoceano, quando nel film One Day (tratto dal romanzo d’esordio di David Nicholls, portato sul grande schermo nel 2011) la protagonista Emma (Anne Hatheway), cameriera a Londra, si rivolge ad un collega chiedendo la propria barra“Qui dentro siamo tutti cameriere barra scrittore, cameriere barra attore, cameriere barra musicista… e tu? Qual è la tua barra? Benvenuto al cimitero delle ambizioni.”
In realtà, la doppia professione è tutto tranne che un cimitero: è condizione necessaria per continuare a sognare, e far si che il sogno prima o poi possa tramutarsi in realtà. E lo sanno non solo i camerieri, ma anche tutte le altre barra (pardon, arti) e professioni precarie che con la ristorazione hanno parecchio in comune, a cominciare dalla vita incerta affiancata alle ambizioni di chi accetta quei posti di lavoro.
La situazione dell’editoria italiana nel 2013 è disarmante. Le case editrici non accettano (quasi) più manoscritti, i talent scout stanno scomparendo, l’editoria a pagamento e il self publishing via ebook stanno annacquando (se non addirittura inquinando) un mercato che ormai sulla scia della “coda lunga” si avvia verso la “coda infinita”. A fronte di una decina di scrittori professionisti, ci sono decine di migliaia di signor nessuno che vendono meno di 50 copie delle loro opere. E per qualcuno di loro 50 copie restano un sogno.
Insomma, se non sei Baricco, Volo o Saviano, con la scrittura non ci campi. Tuttavia, quando sei un D’Avenia, è meglio affiancare un qualcosa di più sicuro.
I giovani d’oggi non vogliono nemmeno essere dei paragonati a questi mostri sacri delle vendite, peraltro spesso messi in discussione e criticati pesantamente (e concedetemelo: talvolta giustamente, ci si conceda un po’ di sana critica).
Nella profonda crisi culturale che ha investito il nostro Paese, ben lungi da una soluzione in tempi brevi, l’imperativo è sopravvivere ed arrangiarsi. Anche all’estero: Nicholls, in fondo, ha semplicemente fotografato una realtà che esiste da sempre, e ultimamente è diventata scelta obbligata. E non soltanto in Italia.
Oltre ai giovani in fuga con il trolley da 10 kg (i nuovi emigranti), c’è una percentuale di scrittori italiani che risiedono e lavorano all’estero, ma scrivono in lingua inglese, pubblicando nei circuiti di vendita internazionali.
La doppia professione esiste da sempre, e possiamo sempre citare il buon Chuck Palahniuk che dai suoi mestieri più disperati e disperati ha tratto l’ispirazione per le sue opere, oppure ironizzare con “Sei uno scrittore? Figo… quindi che lavoro fai?”. Quello che contraddistingue i wraiter di oggi è lo stile.
E non stiamo parlando di prosa, ognuno ha la sua (e ci mancherebbe), ma lo stile di vita. Gli scrittori di oggi devono mantenere un minimo di regolarità, organizzazione e competenze. Soprattutto competenze informatiche e di comunicazione, nel mondo dei social. Email, sito e blog sono soltanto le basi di una serie di strumenti: facebook, twitter, tumblr, instagram, e ogni altro mezzo gratuito e potenzialmente virale diventa utile per mantenere i contatti con il mondo esterno, per comunicare e farsi trovare. Così come è fondamentale imparare a gestirsi tra i turni di lavoro e le pagine di scrittura.
La moleskine e il computer portatile restano degli evergreen, ma si affiancano wi-fi libere e  iPad. Aumenta il numero di wraiter che vivono nelle metropoli, per poter avere nuove ispirazioni (per raccontare meglio la provincia di casa appena lasciata, a volte), che spesso cercano tranquillità in biblioteche e locali poco frequentati, spesso più silenziose delle loro abitazioni (mai vissuto in una casa di studenti universitari?) in una eterna ricerca della massima resa tra servizio e prezzo. Perché non dobbiamo dimenticarci che il lavoro nella ristorazione non è certo per vocazione, ma è per pagarsi da vivere.
La parte più difficile da gestire resta sempre l’equilibrio privato: è sempre dura smentire il pirandelliano “la vita o la si vive o la si scrive”. E se era difficile per Pirandello, che veniva da una famiglia agiata, figuriamoci per chi si deve destreggiare tra il taccuino delle ordinazioni e quello dei racconti.
Se non altro, impareranno a non arrendersi: sanno benissimo che quando si arriva alla frutta, c’è ancora il caffè.



di Enrico Atti